11 febbraio 2024 - Omelia del Vescovo Fornaciari per la Giornata dell’ammalato.
La liturgia di queste ultime domeniche, attraverso la lettura del primo capitolo del Vangelo di Marco, ci ha presentato la giornata tipo di Gesù, una giornata molto piena di attività e incontri, con i vari passaggi dalla sinagoga, alla casa di Simone, alla piazza…
spazi diversi, ognuno dei quali rappresenta una realtà, una dimensione differente della vita.
L’evangelista ci ha anche mostrato come Gesù togliesse ore al sonno per stare con il Padre, in preghiera.
Come se ci dicesse che questo è il segreto della forza di Gesù, da cui traeva l’energia per portare avanti giornate di tale intensità.
Da qui traeva la sua straordinaria capacità di stare con gli altri, di stare in ascolto dei problemi della gente; dal rapporto con il Padre, cioè da una orazione continua e profonda.
Il primo capitolo di Marco si conclude con l’episodio di un lebbroso che, in modo inconcepibile, sfidando tutti i divieti relativi alla sua malattia, si avvicina a Gesù e gli chiede di essere purificato.
Il lebbroso, secondo le leggi in vigore a quel tempo, non poteva entrare in contatto con nessuno e nessuno con lui.
La lebbra era una malattia che per il fatto di essere contagiosa, provocava uno stato di isolamento sociale, perché escludeva dalla vita comune, tagliava fuori dai rapporti con gli altri. Il lebbroso era un morto vivente.
L’impurità era non solo medica (sanitaria), ma religiosa.
C’era inoltre l’idea che la malattia fosse una punizione divina (ancora oggi, molto tristemente, capita di sentire persone che ragionano in questi termini).
Quest’uomo, la cui relazione con gli altri è profondamente trasformata, si avvicina a Gesù e gli dice “se vuoi, puoi purificarmi”.
Gesù è mosso dalla compassione che per il Vangelo non è semplicemente benevolenza, gentilezza o partecipazione alla sofferenza del prossimo. La compassione è un sentimento profondo che “sconvolge le viscere”, crea un nodo allo stomaco, (splendìzomai). Gesù si lascia coinvolgere nella condizione miserevole di quella persona e la sua compassione non diventa solo azione personale, ma più tardi anche desiderio di coinvolgere i dodici nel medesimo sguardo affinché il loro ministero sia un’efficace estensione del suo potere di guarigione e di salvezza. La compassione nel vedere la condizione di solitudine o sofferenza dei malati, come in altri casi di abbandono e desolazione del popolo, è il punto di partenza della Sua azione e possiamo dire che dovrebbe essere la via maestra e regale di ogni discepolo di Gesù.
Si può dire che la compassione è accorgersi che gli altri esistono, è dimenticarsi finalmente di se stessi, dei propri progetti, problemi, difficoltà, speranze per assumere uno sguardo che si fa carico della condizione dei fratelli e sorelle che vivono accanto a noi. Non è mai stato facile aprire il proprio sguardo sugli altri e forse oggi più che mai si avverte la fatica di guidarci con compassione tanto siamo reclinati su noi stessi, preoccupati per il nostro bene o interesse. La celebre e drammatica espressione del filosofo esistenzialista Jean-Paul Sartre sembra aver fatto scuola e avere trovato numerosi discepoli: l’inferno sono gli altri! (in francese "l'enfer, c'est les autres").
La compassione è prendersi cura degli altri, caricarsi delle loro sofferenze, condividere le loro speranze e attese, spendere il proprio tempo a fondo perduto, così ci è raccontato nella parabola del Buon Samaritano (cfr Lc 10, 29-37).
La prima conseguenza di questo sguardo è donare la cosa più preziosa che abbiamo: il nostro tempo! Il mio tempo donato – che nessuno mi potrà rifondere – è il dono più grande che posso dare al fratello e alla sorella che incrocia il mio cammino. Siamo infatti gelosi del nostro tempo per conseguire i nostri legittimi obiettivi professionali, di riposo o di svago, e quante volte consideriamo gli altri come intrusi che ci fanno perdere tempo, soprattutto se abbiamo la fondata certezza che non potremo ottenere da loro qualcosa di vantaggioso per noi in cambio. Dare tempo per ascoltare spesso vicende intrise di dolore e sofferenze, necessità impellenti che richiedono non solo dispendio di tempo ma anche di risorse. Abbiamo poco tempo e non possiamo sprecarlo e consideriamo questo fermarci in ascolto dell’altro come un’inutile perdita di tempo, magari mostrando al nostro interlocutore l’orologio, sperando che comprenda che il suo tempo è scaduto!
Credo che oggi più che mai la Chiesa e chi ha responsabilità di guida, anche a livello sociale e politico, e pure aziendale, debba saper offrire questo spazio di ascolto e di accoglienza, esercitare quell’ascesi dell’ascolto che, pur essendo a volte estenuante, è il primo grande frutto della compassione. Uscire dal proprio mondo, dalle proprie necessità e urgenze, dall’essere reclinati su noi stessi, avvalendosi - magari – della propria posizione di forza e di potere, e servirsi delle persone che sono affidate alle nostre cure per un tornaconto personale, è una delle tragedie più frequenti del nostro tempo.
Gesù coinvolge i suoi discepoli in questo sguardo di compassione e conferisce loro un’autorità per il Bene, ma ricorda a loro che il primo compito di un evangelizzatore è la preghiera!
Questa pagina del Vangelo vuol dirci che Gesù è colui nel quale Dio si fa prossimo agli uomini: a tutti gli esseri umani, anche a chi è escluso ed emarginato. Gesù è una prossimità che supera le distanze, anche quelle generate da interpretazioni dell’esistenza che sembrano essere sacre e intangibili.
In Gesù si attua la presenza del Regno, che guarisce l’uomo, toglie le cause e le conseguenze del male, introduce in un nuovo rapporto con Dio e con la comunità. Le guarigioni di Gesù sono segni rivelatori della sovranità di Dio che Gesù rende presente.
Per questo al lebbroso guarito impone il silenzio, Gesù non vuole creare confusione, non vuole presentarsi come un guaritore, ma è venuto per annunciare la presenza, la prossimità del Regno, che i sacerdoti potrebbero scorgere nel verificare la guarigione del lebbroso.
Ma il gesto di Gesù non può essere tenuto nascosto e il guarito inizia a sua volta a portare un lieto annunzio, si comporta come chi porta la parola di Gesù, il Vangelo.
Tutti possiamo riconoscerci a volte in colui che provoca compassione, altre volte in colui che prova compassione. Tutti possiamo fare l’esperienza di essere purificati, guariti, liberati da qualcosa che non ci permette di vivere pienamente, ci limita, soffoca la vera libertà che è la capacità di superare l’egoismo, l’egocentrismo, e tutti possiamo sentirci spinti a comunicare una Buona Notizia a chi incontriamo sul nostro cammino, ogni giorno.